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La stanza di prova
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Ai 15. Venezia Biennale che l'installazione dalla scuola dell'università di Waterloo dell'architettura fa luce sulla battaglia per la verità, collegante le prove architettoniche con la storia recente dell'olocausto.
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Con la sua Biennale – «riferendo dalla parte anteriore» – il curatore Alejandro Aravena intende affrontare il molti «battaglie» che devono essere combattute oggi dagli architetti: da diseguaglianza, ad inquinamento ed alla segregazione, mediocrità, crimine, traffico, ecc.
Una battaglia ha potuto tuttavia aggiungersi alla lista: la battaglia contro ingiustizia e la bugia. L'installazione «la stanza di prova», curated da un gruppo canadese dalla scuola dell'università di Waterloo dell'architettura e composta di Robert Jan van Pelt, Anne Bordeleau, Sascha Hastings e Donald McKay, fa luce precisamente su quel genere di battaglia per la verità, collegante le prove architettoniche con la storia recente dell'olocausto.
Come fa legale interseca con l'architettura e come può essere produttivo e rimaneggiare come esperienza estetica in nome della memoria? Questi sono alcuno dell'insieme di domande «dalla stanza di prova», una piccola esposizione installata nella sala Q al padiglione centrale del Giardini. Là, sopra l'invito di Aravena, il gruppo canadese ricreato, nello spazio e visivamente, parti della fabbrica di omicidio di Auschwitz-Birkenau's, facendo uso dell'architettura come strumento che non soltanto narra ancora un altra storia dell'olocausto, ma traduce «la necessità per ricordarsi che cosa è innegabile ma sta oltre la comprensione.» [1]
Durante l'anno 2000, lo storico architettonico Robert Jan van Pelt è stato chiamato come testimone in un vestito di diffamazione per sfidare l'asserzione da un revisionista, da uno storico britannico e da un negazionista dell'Olocausto, David Irving. Irving, ha mantenuto che non c'erano stati camere a gas a Auschwitz e che quindi l'olocausto non è accaduto. Grazie all'interpretazione legale dei modelli ed al resti architettonico di Auschwitz Jan van Pelt potevano stabilire la verità.
A seguito di cosiddetto «caso di Irving», Jan van Pelt ha pubblicato la cassa per Auschwitz (2002), un libro che ha presentato la prova coercitiva contenuta nella perizia originale e dettagliando il modo questa prova ha giocato fuori alla prova.
Muovendosi dal libro verso l'esposizione, «la stanza di prova» reclama qualcosa vero potente e crudele: quel gli architetti possono anche progettare le fabbriche della morte. Di conseguenza, poichè Jan van Pelt ci ricorda, la comprensione dell'architettura della camera a gas potrebbe essere importante quanto sapendo leggere la storia di grandi cattedrali. Ispirato dal suo mentore, lo storico Frances Yates, autore di rinascita del famoso l'arte di Memory (1966), il lavoro di Jan van Pelt è basato sul concetto «di costruzione come nave della memoria». «Nella stanza di prova», il gesso bianco è stato usato come la prova di simbolizzazione materiale. Nessuna radiodiffusione, nessun audio, nessun grafico e quasi nessun testo neanche. «Non lo abbiamo voluto assomigliare ad una ricostruzione della camera a gas», diciamo McKay, «abbiamo voluto purgare la stanza da sentimentalità.» Il risultato è un ricordo piuttosto che una ricostruzione. «La stanza di prova» vuole ricordare lo spazio del crematorio 2, una stanza di condizione d'offerta della grande camera a gas omicida sotterranea del cianuro a 2.000 persone. Con l'aiuto degli studenti, il gruppo dall'università di Waterloo ha creato una mostra fatta interamente delle repliche al naturale bianche e le colate dei pezzi chiave di prova architettonica (quali una colonna del gas, la porta del gas, la sezione di parete con la covata impermeabile al gas, i modelli, le lettere degli architetti, le fatture degli appaltatori, le fotografie ecc.) facendo uso di gesso – spesso un uso materiale alle prove record – e l'atto della colata, erano una forte scelta curatoriale. Se l'ambiente risultante potesse sembrare troppo incontaminato, offre una lettura metaforica che fa luce su alcune delle ore più scure della nostra storia, mentre sottolineando il simbolico dell'atto della colata, insistente sulla complicità inseparabile fra presenza ed assenza.
Come Anne Bordeleau meravigliosamente spiega nel catalogo di mostra, «i punti della stanza di prova alle idee differenti – istituzionali, culturali ed architettoniche – di una stanza.»
Dalla stanza del crematorio, alla stanza della pretura ed alla stanza dell'esposizione, stava contando su una rappresentazione e forse inoltre su un'esperienza tattile che i curatori possono ricreare o suggerire qualcosa dall'esperienza in coloro che passa «il portone tramite cui nessuno entrerà più di una volta.» Occupando ancora un altra stanza, una più piccola versione dell'esposizione di Biennale sarà esibita nella galleria ottagonale al centro canadese per l'architettura a Montreal, da giugno al settembre 2016.